Biography, reviews, texts
Critical writings by Luigi Boscacci (in Italian)
25/10/2009
Abbozzo critico n.1
. . . . . .
Uno sguardo non appartiene allo spazio del giudizio ; uno sguardo
non segue la via esclusiva del vero e neppure lo incontriamo nei grandi
giorni della retorica del soggetto e del mondo - non è il vero ,
non è l' io vestito a festa , nè un ' inattesa epifania dell' Arte .
Forse non ha neppure un ' origine che non sia provvisoria , porta
con sè un richiamo vago di terre lontane , di echi confusi dal
vento . Di uno sguardo potremmo tuttalpiù avere cura , dirne i fuochi
che ne centrino l' attenzione , tastarne con mani pazienti la
materia di cui non può che comporsi , tacerne ai suoi silenzi ,
lieti del miracolo acustico che ha reso possibile , un giorno , a quella
voce , di non tacere più .
Qui , tra queste foto , il gioco del voler vedere cerca di sottrarre
alle cose la loro parte più residuale . Questo minimum delle
cose non è l ' invisibile , ansia metafisica del nulla che
circonda con sospetto ardore eventi che , nella loro trasparenza ,
hanno già consumato la loro possibilità di essere detti ; forse
questa residualità non può neppure essere sottratta , secondo la
forma più consueta con cui si impedisce all' altro da sè
qualunque espressione che non sia il gesto , appunto furtivo , di
un soggetto intrappolato nello specchio di Narciso .
Invece questo sguardo sembra ostinarsi sul punto dove le cose
stesse , da sè , incantate , rispondano .
Rispondano come rimirandosi , sorprese da un bagliore inatteso (
dell' anima ? ) , rispondano con uno sguardo ---- di
rimando .
Lo spazio vuoto di una porta , di rimando ad una vetrata con
il suo arabesco riflesso di rami , di cupole : a quale fuoco
risponderà ? ne troveremo uno ? molti ? molti , o più propriamente
nessuno , come se nessuno sguardo agisse dal di fuori e i centri
, interni , si richiamassero incessantemente , senza fine ?
Un interno , una sedia , un tavolo , quale rifrazione ce lo
consegnerà , svestendolo dall' abito pesante dell' abituale e dall'
indiscrezione fastidiosa di una voce troppo certa della propria
legittimità giudicante ? Ma perchè poi consegnare ?
Non è forse un resistere , nella convessità di una lampada , di
rimando ai giochi illimitati , fugacemente illimitati , di luci ,
alle combinazioni irreversibili della riproduzione in una camera
oscura , irreversibili perchè i giorni poi ci circonderanno sempre
più offuscati dalla cenere di quel breve incendio ?
. . . . . .
Luigi Boscacci (2001)
Abbozzo Critico n.3
. . . . .
Una piccola barca è appoggiata ad un muro : il tempo ne ha corroso il legno ; fuori dal suo elemento , l' acqua , il suo corpo è il referto di un cadavere di cui leggiamo le ferite .
Questo " tema " era lì , in un giorno sepolto dalla catena delle consuetudini , nascosto nel tedio immenso di vite mancate , avvolto da sguardi distratti che fondevano il suo unico fuoco nel gioco già da sempre accaduto di ciò che solo può essere nel suo travisamento , nel suo silenzio ; . . . . . . . . . . . eppure è stato lì - e noi potevamo udirlo.
Ma noi chi ? E perchè proprio noi ? E per udire poi che cosa ? Rispondendo forse ad una voce , come richiamati da un' improvvisa assonanza , smossi da un torpore o forse già desti , troppo desti perchè il gioco fragile di questa voce non fosse subito sommerso dal fragore assordante delle nostre intenzioni umane , costruttive , razionali , nel furore che chiama se stesso a divorarsi incessantemente ?
Mi pare di vederlo questo " noi " : è un noi che ha dovuto provarsi e costruirsi su strade solitarie , senza maestri in paziente attesa di un suo gesto implorante , attraversando con sospetto i momenti di entusiasmo ancor più di quelli di scoramento , una vita di cui è più facile dire ciò che ha imparato a non vedere più ancora di ciò che sa vedere , privo della tentazione narcisistica del tacere su di sè , eppure così poco incline ad autocelebrarsi da tollerare solo la convivenza breve e felice di qualche ora buona dove lui , amante paziente , è così ebbro , castamente ebbro , del piacere di un incontro da sacrificare , in una dedizione davvero commovente , ogni compiacimento da amante soddisfatto , che si rimira nel piacere altrui .
Dunque questo tema fu ascoltato , ma come accade a cose che hanno bisogno di grandi vuoti per essere rese udibili , a queste voci si associarono finissime variazioni .
La filigrana del muro pare avvolgere il cuore pulsante dello scafo in una misura che ne attenua il dolore , la durezza della caducità , anche se non c' è alcuna retorica dell' abbandono in questa foto .
Il tempo di questa visione è un' esplosione trattenuta nel suo primo istante , l' impatto violento di uno sguardo che apparentemente non resiste alla sordità dell' esperienza e si tuffa nel gioco davvero sorprendente di incrostazioni , bagliori improvvisi , forme congelate .
Sembra che all' estremo dell' attenzione le forme percettive si dilatino ad un punto tale da staccarsi , in un' evidenza dolorosa , dallo sfondo indefinibile in cui fluttuano , silenziose , nella caduta senza fine della nostra distrazione .
Questo però sarebbe un canto su una sola nota , o forse un rintocco che attraversasse una campagna vasta e silenziosa , a noi solo rivolto .
Girandoci di scatto ne sentiremo le vibrazioni nell' aria e l' ansia come di aver perso quel momento sublime , quel tocco - ma ci sarà mai stato ? - ci pervaderà subito .
Inseguiremo questa mancanza , questa incertezza , nelle diffrazioni infinite di quel suono disseminato in ogni dove , nella nostra anima .
Non credo nel congelamento di quest' attimo , l' haiku mi pare , ad esempio , un misero surrogato di una saggezza che vorrebbe imporre un marchio definitivo a ciò che vive esclusivamente nella propria dissolvenza : l' anima appartiene allo scavo .
Lo scafo è attraversato verticalmente da un' apertura [ ? ] : l'esplosione trattenuta ci coinvolge in una nuova temporalità e , sottratta al suo destino troppo luminoso , parte verso nuove combinazioni .
E qui la materia inerte , per un attimo , si deforma , come se la perfezione di quell' elemento rettangolare , nella nauseante immanenza delle cose , suggerisse una resistenza possibile , come se il segno umano gettato di traverso alle cose davvero sopravvivesse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Luigi Boscacci (2001)
. . . . . .
Uno sguardo non appartiene allo spazio del giudizio ; uno sguardo
non segue la via esclusiva del vero e neppure lo incontriamo nei grandi
giorni della retorica del soggetto e del mondo - non è il vero ,
non è l' io vestito a festa , nè un ' inattesa epifania dell' Arte .
Forse non ha neppure un ' origine che non sia provvisoria , porta
con sè un richiamo vago di terre lontane , di echi confusi dal
vento . Di uno sguardo potremmo tuttalpiù avere cura , dirne i fuochi
che ne centrino l' attenzione , tastarne con mani pazienti la
materia di cui non può che comporsi , tacerne ai suoi silenzi ,
lieti del miracolo acustico che ha reso possibile , un giorno , a quella
voce , di non tacere più .
Qui , tra queste foto , il gioco del voler vedere cerca di sottrarre
alle cose la loro parte più residuale . Questo minimum delle
cose non è l ' invisibile , ansia metafisica del nulla che
circonda con sospetto ardore eventi che , nella loro trasparenza ,
hanno già consumato la loro possibilità di essere detti ; forse
questa residualità non può neppure essere sottratta , secondo la
forma più consueta con cui si impedisce all' altro da sè
qualunque espressione che non sia il gesto , appunto furtivo , di
un soggetto intrappolato nello specchio di Narciso .
Invece questo sguardo sembra ostinarsi sul punto dove le cose
stesse , da sè , incantate , rispondano .
Rispondano come rimirandosi , sorprese da un bagliore inatteso (
dell' anima ? ) , rispondano con uno sguardo ---- di
rimando .
Lo spazio vuoto di una porta , di rimando ad una vetrata con
il suo arabesco riflesso di rami , di cupole : a quale fuoco
risponderà ? ne troveremo uno ? molti ? molti , o più propriamente
nessuno , come se nessuno sguardo agisse dal di fuori e i centri
, interni , si richiamassero incessantemente , senza fine ?
Un interno , una sedia , un tavolo , quale rifrazione ce lo
consegnerà , svestendolo dall' abito pesante dell' abituale e dall'
indiscrezione fastidiosa di una voce troppo certa della propria
legittimità giudicante ? Ma perchè poi consegnare ?
Non è forse un resistere , nella convessità di una lampada , di
rimando ai giochi illimitati , fugacemente illimitati , di luci ,
alle combinazioni irreversibili della riproduzione in una camera
oscura , irreversibili perchè i giorni poi ci circonderanno sempre
più offuscati dalla cenere di quel breve incendio ?
. . . . . .
Luigi Boscacci (2001)
Abbozzo Critico n.3
. . . . .
Una piccola barca è appoggiata ad un muro : il tempo ne ha corroso il legno ; fuori dal suo elemento , l' acqua , il suo corpo è il referto di un cadavere di cui leggiamo le ferite .
Questo " tema " era lì , in un giorno sepolto dalla catena delle consuetudini , nascosto nel tedio immenso di vite mancate , avvolto da sguardi distratti che fondevano il suo unico fuoco nel gioco già da sempre accaduto di ciò che solo può essere nel suo travisamento , nel suo silenzio ; . . . . . . . . . . . eppure è stato lì - e noi potevamo udirlo.
Ma noi chi ? E perchè proprio noi ? E per udire poi che cosa ? Rispondendo forse ad una voce , come richiamati da un' improvvisa assonanza , smossi da un torpore o forse già desti , troppo desti perchè il gioco fragile di questa voce non fosse subito sommerso dal fragore assordante delle nostre intenzioni umane , costruttive , razionali , nel furore che chiama se stesso a divorarsi incessantemente ?
Mi pare di vederlo questo " noi " : è un noi che ha dovuto provarsi e costruirsi su strade solitarie , senza maestri in paziente attesa di un suo gesto implorante , attraversando con sospetto i momenti di entusiasmo ancor più di quelli di scoramento , una vita di cui è più facile dire ciò che ha imparato a non vedere più ancora di ciò che sa vedere , privo della tentazione narcisistica del tacere su di sè , eppure così poco incline ad autocelebrarsi da tollerare solo la convivenza breve e felice di qualche ora buona dove lui , amante paziente , è così ebbro , castamente ebbro , del piacere di un incontro da sacrificare , in una dedizione davvero commovente , ogni compiacimento da amante soddisfatto , che si rimira nel piacere altrui .
Dunque questo tema fu ascoltato , ma come accade a cose che hanno bisogno di grandi vuoti per essere rese udibili , a queste voci si associarono finissime variazioni .
La filigrana del muro pare avvolgere il cuore pulsante dello scafo in una misura che ne attenua il dolore , la durezza della caducità , anche se non c' è alcuna retorica dell' abbandono in questa foto .
Il tempo di questa visione è un' esplosione trattenuta nel suo primo istante , l' impatto violento di uno sguardo che apparentemente non resiste alla sordità dell' esperienza e si tuffa nel gioco davvero sorprendente di incrostazioni , bagliori improvvisi , forme congelate .
Sembra che all' estremo dell' attenzione le forme percettive si dilatino ad un punto tale da staccarsi , in un' evidenza dolorosa , dallo sfondo indefinibile in cui fluttuano , silenziose , nella caduta senza fine della nostra distrazione .
Questo però sarebbe un canto su una sola nota , o forse un rintocco che attraversasse una campagna vasta e silenziosa , a noi solo rivolto .
Girandoci di scatto ne sentiremo le vibrazioni nell' aria e l' ansia come di aver perso quel momento sublime , quel tocco - ma ci sarà mai stato ? - ci pervaderà subito .
Inseguiremo questa mancanza , questa incertezza , nelle diffrazioni infinite di quel suono disseminato in ogni dove , nella nostra anima .
Non credo nel congelamento di quest' attimo , l' haiku mi pare , ad esempio , un misero surrogato di una saggezza che vorrebbe imporre un marchio definitivo a ciò che vive esclusivamente nella propria dissolvenza : l' anima appartiene allo scavo .
Lo scafo è attraversato verticalmente da un' apertura [ ? ] : l'esplosione trattenuta ci coinvolge in una nuova temporalità e , sottratta al suo destino troppo luminoso , parte verso nuove combinazioni .
E qui la materia inerte , per un attimo , si deforma , come se la perfezione di quell' elemento rettangolare , nella nauseante immanenza delle cose , suggerisse una resistenza possibile , come se il segno umano gettato di traverso alle cose davvero sopravvivesse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Luigi Boscacci (2001)