Biography, reviews, texts
Leaving and Innerscapes, a presentation by Rino Bertini
Presentation of the retrospective organised by the Creval Foundation (part 2)
03/10/2009
INNERSCAPES AND LEAVING: A JOURNEY AMONG SILENCES AND ABSENCES
“All photographs are memento mori. To take a photograph is to partecipate in another person’s (or thing’s) mortality, vulnerability, mutability. Precisely by slicing out this moment and freezing it, all photographs testify to time’s relentless melt”
(Susan Sontag, On Photography)
If the world is fundamentally discovered by the eye, then what Cesare Bedogne’ tells us in these two photographic series is first and foremost a journey where each landscape is soaked in his personal experiences. In these shots, telling us about places made of silence, where absence becomes the true signifier of the whole work, Cesare seems to be looking for a contemplative pause. A moment of knowledge which is eternal because irrepeatible, closed in itself, crystallized forever. And this is even more true because the instant fixed by the camera dies at the same time, justifying the definition given by Roland Barthes of photographers as “death messangers”.
Through the many images displaying places made of voids and absences, the photographer is trying to capture the series of answers that man has given to his perceptive experiences. In Innerscapes Cesare Bedogne’ concentrates on landscape fragments where reflections and shattered glasses are still the dominant elements, but he is also showing us his own image at times. A fleeting image, barely revealed by a mirror or a reflection, as if to underline his need of being there, also and above all through his absence. And it is just within this silence that the photograph can appear in its true essence of footprint, as a trace revealing the semiotic essence of the works through which man transforms the world. All this is clearly perceptible also in Leaving, where a keen sense of nostalgia is conveyed for instance by Norwegian roads and leaden-hued South American skies, as well as by the Machapuchare summit in Nepal. I would like to think that a journey telling about departures and abandonments could be contained in a single gaze. It is the one of the sailor appearing in a circular frame in the lower left corner of a shot taken in the Punta Arenas graveyard. In that gaze there is the story of a world that every curious traveller would like to know.
Rino Bertini
“Ogni fotografia è un memento mori. Fare una fotografia significa partecipare
della mortalità, della vulnerabilità e della mutabilità di un’altra persona (o di un’altra cosa).
Ed è proprio isolando un determinato momento e congelandolo che tutte le fotografie
attestano l’inesorabile azione dissolvente del tempo”.
(Susan Sontag. Sulla fotografia)
Innerscapes e Leaving: un viaggio fra silenzi e assenze
Se la scoperta del mondo avviene fondamentalmente attraverso lo sguardo, allora ciò che Cesare Bedognè
ci racconta in queste due serie fotografiche è prima di tutto un viaggio, in cui ogni paesaggio è intriso del suo vissuto personale. In quegli scatti che ci parlano di luoghi di silenzio, dove le assenze diventano la vera cifra stilistica di tutta l’opera, Cesare sembra ricercare una pausa contemplativa. Un momento di conoscenza eterno perché irripetibile, concluso in sé, irrigidito per sempre. E questo è tanto più vero quanto ogni istante che l’apparecchio fissa, in realtà è fatto morire, giustificando in qualche modo la definizione che Roland
Barthes dà dei fotografi come “messaggeri di morte”.
Nelle tante immagini che raccontano luoghi fatti di vuoti e di assenze il fotografo cerca di cogliere una serie di risposte che l’uomo ha dato alle sue esperienze percettive. In Innerscapes Cesare Bedognè, mentre
svela quegli aspetti paesistici in cui persistono i riflessi e i vetri infranti, a volte mostra la sua immagine. Un’immagine fugace, rivelata appena da uno specchio o da un riflesso, come a sottolineare la sua necessità di esserci, anche e soprattutto con la sua assenza. Ed è proprio nel silenzio che la foto si mostrerà nella
sua vera essenza di orma, come una traccia che rivela l’essenza semiotica delle opere con le quali l’uomo trasforma il mondo. Tutto questo è percepibile anche in Leaving dove il senso di nostalgia si coglie sia nelle immagini che riguardano le strade della Norvegia e i cieli plumbei del Sud America che nella vetta del
Machapuchare in Nepal. Mi piace pensare che un viaggio che racconta di partenze e di abbandoni, si possa anche racchiudere in uno sguardo. È quello di un marinaio che sta dentro il tondo di una cornice fotografica,
nell’angolo in basso a sinistra di uno scatto che Cesare ha fatto nel cimitero di Punta Arenas. In quello sguardo c’è la storia di un mondo che ogni viaggiatore curioso vorrebbe conoscere.
Rino Bertini
“All photographs are memento mori. To take a photograph is to partecipate in another person’s (or thing’s) mortality, vulnerability, mutability. Precisely by slicing out this moment and freezing it, all photographs testify to time’s relentless melt”
(Susan Sontag, On Photography)
If the world is fundamentally discovered by the eye, then what Cesare Bedogne’ tells us in these two photographic series is first and foremost a journey where each landscape is soaked in his personal experiences. In these shots, telling us about places made of silence, where absence becomes the true signifier of the whole work, Cesare seems to be looking for a contemplative pause. A moment of knowledge which is eternal because irrepeatible, closed in itself, crystallized forever. And this is even more true because the instant fixed by the camera dies at the same time, justifying the definition given by Roland Barthes of photographers as “death messangers”.
Through the many images displaying places made of voids and absences, the photographer is trying to capture the series of answers that man has given to his perceptive experiences. In Innerscapes Cesare Bedogne’ concentrates on landscape fragments where reflections and shattered glasses are still the dominant elements, but he is also showing us his own image at times. A fleeting image, barely revealed by a mirror or a reflection, as if to underline his need of being there, also and above all through his absence. And it is just within this silence that the photograph can appear in its true essence of footprint, as a trace revealing the semiotic essence of the works through which man transforms the world. All this is clearly perceptible also in Leaving, where a keen sense of nostalgia is conveyed for instance by Norwegian roads and leaden-hued South American skies, as well as by the Machapuchare summit in Nepal. I would like to think that a journey telling about departures and abandonments could be contained in a single gaze. It is the one of the sailor appearing in a circular frame in the lower left corner of a shot taken in the Punta Arenas graveyard. In that gaze there is the story of a world that every curious traveller would like to know.
Rino Bertini
“Ogni fotografia è un memento mori. Fare una fotografia significa partecipare
della mortalità, della vulnerabilità e della mutabilità di un’altra persona (o di un’altra cosa).
Ed è proprio isolando un determinato momento e congelandolo che tutte le fotografie
attestano l’inesorabile azione dissolvente del tempo”.
(Susan Sontag. Sulla fotografia)
Innerscapes e Leaving: un viaggio fra silenzi e assenze
Se la scoperta del mondo avviene fondamentalmente attraverso lo sguardo, allora ciò che Cesare Bedognè
ci racconta in queste due serie fotografiche è prima di tutto un viaggio, in cui ogni paesaggio è intriso del suo vissuto personale. In quegli scatti che ci parlano di luoghi di silenzio, dove le assenze diventano la vera cifra stilistica di tutta l’opera, Cesare sembra ricercare una pausa contemplativa. Un momento di conoscenza eterno perché irripetibile, concluso in sé, irrigidito per sempre. E questo è tanto più vero quanto ogni istante che l’apparecchio fissa, in realtà è fatto morire, giustificando in qualche modo la definizione che Roland
Barthes dà dei fotografi come “messaggeri di morte”.
Nelle tante immagini che raccontano luoghi fatti di vuoti e di assenze il fotografo cerca di cogliere una serie di risposte che l’uomo ha dato alle sue esperienze percettive. In Innerscapes Cesare Bedognè, mentre
svela quegli aspetti paesistici in cui persistono i riflessi e i vetri infranti, a volte mostra la sua immagine. Un’immagine fugace, rivelata appena da uno specchio o da un riflesso, come a sottolineare la sua necessità di esserci, anche e soprattutto con la sua assenza. Ed è proprio nel silenzio che la foto si mostrerà nella
sua vera essenza di orma, come una traccia che rivela l’essenza semiotica delle opere con le quali l’uomo trasforma il mondo. Tutto questo è percepibile anche in Leaving dove il senso di nostalgia si coglie sia nelle immagini che riguardano le strade della Norvegia e i cieli plumbei del Sud America che nella vetta del
Machapuchare in Nepal. Mi piace pensare che un viaggio che racconta di partenze e di abbandoni, si possa anche racchiudere in uno sguardo. È quello di un marinaio che sta dentro il tondo di una cornice fotografica,
nell’angolo in basso a sinistra di uno scatto che Cesare ha fatto nel cimitero di Punta Arenas. In quello sguardo c’è la storia di un mondo che ogni viaggiatore curioso vorrebbe conoscere.
Rino Bertini